Breve storia del potente Ministro della Repubblica Italiana Luigino Furbino (La Patologia del Potere)

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Breve storia del potente Ministro della Repubblica Italiana Luigino Furbino (La Patologia del Potere)

A GIORGIA
Pubblicato da 1°Racconto Br.- L. De Gregorio in Racconti Brevi · 31 Dicembre 2023
Domenica, 31 Dicembre 2023
     

BREVE STORIA DEL POTENTE MINISTRO
DELLA REPUBBLICA ITALIANA
LUIGINO FURBINO
(La patologia del potere)

    
  
 GLI STUDI  DI LUIGINO FURBINO

Alla scuola elementare, Luigino di nome e Furbino di cognome, già mostrava scarsa voglia e nessuna predisposizione allo studio. Era tra gli ultimi della classe. Ma alla scuola media non c’erano dubbi. Era l’ultimo degli ultimi. Una posizione che non gli dava fastidio, anzi ne era orgoglioso. Era pur sempre un primato.
  
E quando l’insegnante di  Italiano comunicò alla famiglia che una bocciatura, e cioè una ripetizione  della seconda media, avrebbe fatto bene a Luigino, lui la prese bene. In fondo non glie ne importava nulla. Per lui leggere era troppo faticoso e la penna era troppo pesante. In ogni caso, in quattro anni, riuscì a superare lo scoglio della scuola secondaria di primo grado. Ma al liceo le difficoltà divennero montagne e lui non aveva le caratteristiche dell’alpinista. Tra ripetizioni private e due bocciature arrivò ad acquisire l’agognata licenza liceale. Agognata dai genitori e da tutto il parentado.
  
Insomma, Luigino Furbino era la pecora nera della famiglia. Ed ora bisognava scegliere: andare o meno all’università e quale accidenti di facoltà frequentare. Lui ne era indifferente. Il suo futuro era in mano ai parenti, mentre il suo presente era in mano a lui: donne, gioco a carte, feste da ballo, gite, buoni ristoranti.
 

LA SCELTA DELLA SUA VITA  
  
Nella famiglia FURBINO non si poteva che essere dei professionisti: medici, avvocati, ingegneri.
  
Tutte professioni rispettabili e rispettate. Ma per Luigino suddetti professioni erano qualcosa di impossibile. Troppo studio e troppa fatica per arrivare alla laurea. Ma poi, anche nell’esercizio di esse, bisognava avere quegli strumenti di conoscenza basilari, senza le quali si entrava nell’orbita della truffa nei riguardi di un paziente, di un cliente, di un progetto.
 
Pensa e ripensa. Cosa avrebbe potuto fare senza avere abilità o conoscenze specifiche? Per ore seduto su una panchina della riva sinistra del Tevere, per la prima volta nella sua vita, si tormentava: cosa fare senza saper fare nulla e senza avere capacità intellettive particolari.
  
Passavano i giorni, le settimane, i mesi. Avrebbe perso un altro anno senza iscriversi a nessuna facoltà universitaria. D’altronde non aveva nessuna passione, nessun interesse per nessuna materia umanistica o tecno scientifica. I libri scolastici, che aveva letto in parte e controvoglia, non gli avevano ispirato alcun coinvolgimento in nessuna direzione.
 
Un giorno, l’illuminazione.  Per puro caso.  Seppur non interessato ai programmi televisivi, sedeva spesso su  una  delle poltrone  bergère  poste in sala, sempre pronte ad ospitare  il suo sedere stanco, mentre la sua  mente,  se  pur  accidiosa,  restava  laboriosa  ad inghiottire il mix  di evasione stanziale di parole ed immagini della TV.
  
Ed ecco che Luigino ormai ventiduenne, maggiorenne, disoccupato, distratto, affranto, demotivato, sbadatamente sta guardando un programma in cui un intervistatore sulla piazza di Monte Citorio ferma alcuni parlamentari più o meno noti al pubblico televisivo.
  
Lo speaker rivolge loro delle domande sulla geografia, sulla storia, sulle biografie di grandi letterati studiosi del passato. Riposte sbalorditive: errori di centinaia di anni rispetto al periodo in cui vissero grandi autori  della letteratura, della storia, delle scienze.  Ad esempio, in quale periodo visse Dante, il grande poeta nazionale. Ed essi (i parlamentari), frequentatori dei salotti televisivi, mostravano la loro ignoranza sbagliando di alcuni secoli e cercando, invano, di coprirla ridendone.
Ma ancora più sorprendente venne fuori che, in relazione ad una proposta di legge, che quella mattina sarebbe stata votata alla Camera dei deputati, molti intervistati, in gran parte, non conoscevano il contenuto della proposta, ma avrebbero votato si per ordine del Partito.
  
In questa occasione la sonnolenza, prodotta solitamente dalla poltrona bergère, questa volta fu bloccata, a seguito di quelle interviste apparentemente lunari. Una forza estranea gli era penetrata nel cervello e, come un demone, ma con vocina avvolgente, affabulante, convincente gli diceva: dato che non hai né la forza, né le capacità per fare il medico, l’ingegnere, l’avvocato, potresti fare il politico.

Luigino Furbino sapeva che i demoni o gli angeli che ti parlano dal di dentro e ti rompono la testa hanno la libertà di dire tutto quello che vogliono, anche le ca**ate più indicibili. Ma il dubbio, se pur non invitato da nessuno, in maniera autonoma e prepotente si insinua in Luigino e gli ripete: "Anche tu non sai far nulla. Quindi anche tu potresti fare il politico”.
 
Questo refrain divenne sempre più frequente, e più ossessivo, soprattutto dopo qualche settimana.  
 
Luigino sapeva che nella grande famiglia FURBINO le professioni degne di essere chiamate tali erano: il medico, l’avvocato, l’ingegnere. Al breve elenco si poteva aggiungere, ad una certa distanza, la professione dell’ architetto.
  
Ma quest’ultima, a meno di diventare famosi a livello mondiale, in verità, la ritenevano più vicina a quella di un disegnatore e nulla più. Questa allocazione di secondo livello era dovuto ad un particolare: una firma. Quella di un ingegnere edile che accerta e sottoscrive il progetto artistico dell’architetto, assicurandone, dopo opportuni calcoli, che la costruzione sarebbe stata in piedi.
  
Certamente i membri della famiglia FURBINO, essendo tutti professionisti, conoscevano il dettaglio non trascurabile della firma dell’ingegnere edile e, proprio per questo, emettevano quell’odore snobistico, quando in circostanze non volute si trovavano di fronte ai tracciatori di linee, la seconda denominazione corrosiva che loro attribuivano agli architetti.
  
Nonostante l’ipotesi della carriera politica, tuttavia Luigino non volle abbandonare l’idea dell’Università.
  
E, quindi, si iscrisse ad una facoltà in cui non dovesse trascorrere ore sul cerchio di Mohr  per prepararsi all’esame di Scienza delle Costruzioni, o impazzire sul Codice di Procedura Penale. E tuttavia, in  perfetta coerenza con le sue capacità intellettive di perfetto cretino, non fece alcuna fatica ad andare fuori corso per tre anni.
 
Ma, come spesso accade, la fortuna aiuta gli audaci. E ancor più gli imbecilli.
E, quindi,  il   curriculum  idiotscolastic di ritardatario   di 6 anni di Luigino Furbino si incrociò con il corso della Storia, la rivoluzione del ‘68.  Ed il suo libretto universitario,  grazie  ad  alcuni  professori  favorevoli al  voto politico, si riempì anche di voti superiori al 18.
 
E così,  se è  vero  che  sono  gli Uomini che fanno la Storia, è  pure vero  che  a volte  la Storia crea  una generazione  (con le dovute eccezioni)  di uomini, veri finti intelligenti, di cui il nostro  ministro è  un vero campione.

Durante la preparazione della sua banalissima  tesi aveva  letto, casualmente,  che i parlamentari avevano una retribuzione  totale di circa 12.000 euro al mese (retribuzione, più diaria, più rimborso forfettario) per 13 mensilità. Cioè,  da  quanto  orecchiava  in  discussioni  familiari,  più  di  un libero  professionista  con competenze specifiche.   E molto più di un manager  aziendale, le cui responsabilità reali ed il cui impegno aziendale sono sotto continua pressione.
 
Insomma, sia che fosse stravaccato sulla bergère di casa o sulla panchina della riva sinistra del Tevere, il pensiero, inizialmente dubbioso, andava man mano liberandosi della nebbia. Ed un giorno, con una trasformazione radicale, e con la laurea raggiunta con tre anni fuori corso, Luigino indossò i panni della raggiante certezza  che lo indusse ad affermare ad alta voce farò il politico, farò il politico, farò il politico.
 
La notizia, sebbene fosse una novità a lui gradita, comportava un problemino: andava comunicata al parentado. Decise di non affrontare l’intera famiglia. Bastava dirlo alla madre e la notizia si sarebbe diffusa. Però lui menefreghista, ma anche un po’ masochista si mise ugualmente ad immaginare ciò che i vari parenti, sorelle, fratelli, nonni, zii, cognati, cugini, avrebbero detto circa la sua vocazione imbevuta di convenienza. Una carrellata di ignominie, il festival delle indecenze verbali. Ma lui rimosse tutto come un killer che cancella le proprie impronte digitali.
In ogni caso lui aveva raggiunto la piena consapevolezza che era l’unico mestiere capace di fare, l’unica professione ad alta remunerazione senza aver conoscenza di nulla, la sola attività della quale non bisogna rendere conto a nessuno, l’unica occupazione con assenteismo da guinness dei primati completamente orfana di controlli.
  
 
COME  DIVENTARE CONSIGLIERE COMUNALE
 
Ma torniamo al problema di Luigino: come iniziare una carriera politica era completamente un' incognita. Non ne sapeva assolutamente nulla e si sentiva svantaggiato rispetto ai figli di parlamentari che vengono ben istruiti allo scopo da parte dei padri.
Quindi, consapevole della piena ignoranza circa i meccanismi elettorali, decise, in piena convinzione, che era meglio iniziare la carriera come Consigliere Comunale, come avevano fatto alcuni conoscenti. Dai quali, frequentandoli, aveva capito che la valenza intellettuale e la valenza etica valgono poco. E comunque meno del numero di voti che prometti di portare al Partito.
 
Non rimaneva che impegnarsi su come ottenere alcune migliaia di voti. Non poteva contare sulla famiglia, non poteva contare sul parentado. Non poteva contare sugli amici del parentado. Lo disprezzavano tutti. Un traditore della famiglia, delle tradizioni, dell’impegno nello studio, un traditore della carriera da professionista.
  
Poteva contare sugli amici. Ma essi non costituivano un numero sufficiente su cui costruire la propria carriera.
Se  la  poltrona  bergère del suo salotto  e  la  panchina (ormai per abitudine sempre la stessa)  sulla  riva sinistra del Tevere potessero parlare sapremmo che, per giorni, settimane e mesi, il cervello di Luigino era stato il contenitore di una sola domanda.......ma come faccio ad ottenere molti voti ed avere la certezza di essere eletto Consigliere comunale?

In alcuni giorni rischiò che la testa gli scoppiasse, in altri temette la depressione, in altri ancora ebbe la convinzione fatta di sola speranza, ma senza prove, di potercela fare.
Ed un giorno tranquillo, che non si caratterizzava né per acuti dolori alla testa, né per stati d’animo spumeggianti, diremmo un giorno di serenità temporanea, improvvisamente avvenne un’illuminazione che non fu subito folgorante. Anzi inizialmente era fioca. Ma che andò ad incrementarsi fino a quando l’idea fu completamente chiara,  al pari della scoperta  del  celebre matematico Archimede, e non poté non gridare Eureka! Eureka!
 
Per essere certi di diventare consigliere comunale in una grande città occorreva qualche migliaio di voti. A questo dato di partenza Luigino accostò un fatto più o meno noto a tutti. Molti elettori, non aventi ideologie, non aventi partiti di riferimento, molte volte neanche vanno a votare. Ma se sollecitati da qualcuno che conoscono direttamente, cioè personalmente, danno il voto al loro unico contatto politico. Infine Luigino, con quattro moltiplicazioni, arrivò a determinare quanti bar, quante associazioni, quante bocciofile, quanti circoli, doveva frequentare con una certa assiduità.
  
Si specializzò nel distribuire il suo tempo tra le varie sorgenti di voti, imparò ad essere rigoroso nel rispettare la pragmatica regola che, per singola giornata, era più importante il numero di contatti  che la quantità di tempo investita nell’intrattenimento del singolo interlocutore e potenziale suo votante. Divenne esperto nel programmare le visite giornaliere, tenendo conto delle tipologie delle fonti per la sua elezione, della loro ubicazione, dei tempi di percorrenza al pari di un venditore intento a raggiungere il suo target nel territorio assegnatogli.
 
Non si era mai così impegnato in vita sua. Ma i benefici di una carriera politica, a fronte della mancanza di qualità, sia nel pensiero, sia nell’azione, gli davano una forte motivazione.
 
Alle prime votazioni i risultati furono splendenti. Fu il consigliere più votato in tutto il Lazio.
E lui non disdegnava di diffondere il suo brillante risultato, se pur in maniera pacata ed assolutamente non trionfalistica.  E poi aggiungeva con modestia, quasi fosse una disgrazia,  “mi chiamano generator”.
Un appellativo, un soprannome che  lui stesso  aveva  contribuito a far nascere, ma che ora era più diffuso del suo vero nome.  Ma lui sapeva.  Sapeva  che  raccogliere  voti  era più  importante  che  presenziare a qualche riunione o fare interventi televisivi.
 

IL NUOVO OBIETTIVO: PARLAMENTARE DELLA REPUBBLICA
  
Nei  cinque anni da consigliere comunale  non fece mai nessun intervento, non propose alcuna mozione, votò sempre secondo le direttive del partito, non partecipò mai ad alcun dibattito televisivo, non rilasciò mai alcuna intervista. Questa presenza passiva era perfettamente congrua alla sua ignoranza su tutti i temi che venivano dibattuti nel consiglio comunale. Ma durante  i 5 anni si applicò per raggiungere un nuovo traguardo. Quello importante, da 12.000 euro al mese, cioè quello di diventare parlamentare della Repubblica.
 
Il suo metodo di frequentare bocciofile, associazioni, circoli avrebbe dato frutti non sufficienti per il nuovo obiettivo. Quindi selezionò nuovi ed interessanti target da raggiungere. Si munì di moltissimi elenchi di associazioni industriali, commercianti,  artigiani, sindacali e di tutte le corporazioni. Le visitò tutte e si attrezzò di uno strumento di lavoro: i diari. Ad ogni visita annotava il presidente dell’associazione che aveva incontrato, il numero degli iscritti, le esigenze dell’associazione.
Il suo comportamento si caratterizzava per la capacità di ascolto, per i molti cenni assertivi della testa, per l’assenza di promesse esplicite, comunque da considerarsi sottointese.
 
Alle elezioni politiche nazionali, a riguardo della scelta dei candidati lui ebbe un incontro con il segretario del Partito  e qui portò i 5 diari riportanti tutti gli incontri che aveva  avuto ed una stima dei voti che avrebbe preso. A fine elezioni fu il parlamentare che raggiunse il maggior numero di voti ed anche il più sconosciuto ai cittadini. Mentre per i suoi compagni di partito era diventato il generator nazionale.
 
Per tre  legislature mantenne il suo posto con piena soddisfazione dello stipendio. Alla vittoria delle elezioni per la quarta legislatura espresse il desiderio di diventare ministro. E poiché Luigino Furbino era il maggior contribuente di voti del partito, la medaglia da ministro non poteva essergli negata.
 

MINISTRO DELL REPUBBLICA  ITALIANA
 
Suona il telefono.
L’onorevole Luigino Furbino guarda l’orologio. Sono le 24:00. E’ tardi, ma non per LUI. Che chiama a tutte le ore, anche a notte fonda. Sarà LUI certamente.
Invece una voce maschile, a lui sconosciuta, con tono servile, dice “Mi scusi signor Ministro …,e  dopo una brevissima pausa, la Sua macchina è a Sua disposizione giorno e notte a cominciare da domattina alle ore 6:00“.
Luigino stava fermando l’interlocutore per dire che lui è soltanto l’Onorevole …
Ma   una   piccolissima  frazione  di   secondo  è  stata sufficiente a ricordargli  che,  nel  pomeriggio,  era stato nominato Ministro della Repubblica. Per la prima volta in vita sua.

Cerimonia solenne.  Che lo  ha  anche  commosso,  appena  ha  pensato alla  sua povera mamma  che, da lassù, nel  dargli  la  benedizione, ha  certamente  detto  come avrà fatto proprio il mio figliolo a diventare ministro,  lui  che  alla  scuola media prometteva male,  al liceo   si dimostrava  peggio  e  all’università  si confermò un disastro?
Ma l’onorevole si rendeva conto che non era il momento di abbandonarsi a simili pensieri. Occorreva dare una risposta veloce e decisa.
 
Ed invece con una voce debole non convincente, anche se non c’era nulla e nessuno da convincere,  disse “ si, grazie”.
Poi decise di sprofondarsi in poltrona e di rivivere l’evento... la mia nomina a ministro. In maniera che dall’indomani si comportasse da ministro. Percepiva di dover fare dei cambiamenti consoni al nuovo status, ma non riusciva a focalizzarli. Forse dovrebbe avere un passo più nervoso, più indaffarato, un tono di voce più grave, una faccia più solenne, uno sguardo più deciso, insomma tutto un po’ più da ministro.
 
Mentre veleggiava sul nuovo comportamento da assumere, gli vennero in mente le interviste con i giornalisti. Accidenti. Queste certamente aumenteranno. Un bel guaio.
 
Ma LUI nel pensare a me come ministro non ha tenuto conto della mia balbuzie?
 
LUI, LUI che pensa a tutto. Vi avrà visto nel mio piccolo difetto del tartagliare delle convenienze per il partito, per il Paese. Certamente vuole dare il messaggio che: LUI non discrimina.
 
E mi avrebbe scelto come ministro anche se fossi stato nero. Per dare il segnale che LUI non è razzista.

Però se fossi stato gay....non mi avrebbe fatto ministro. LUI non li sopporta proprio i gay.

Ma mia madre non mi ha fatto né gay, né intelligente.
 
E riferendosi a questa ultima qualità, il neo ministro non aveva dubbi. Non aveva fatto nessuna misurazione del suo Q.I. (quoziente di intelligenza). Ma molti indizi non ammettevano dubbi. Era sempre stato un perfetto imbecille.
Negli anni di liceo il suo  tormento  erano state  le ripetizioni  estive che significavano niente mare,  niente montagna, ma libri, libri ed ancora libri.
 
Dopo i primi 2 anni di rimandato ad ottobre comprese che, per tutta la durata del liceo, la sua vita sarebbe stata un calvario.
Questa  certezza  proveniva  dalla  determinazione  della  sua famiglia che, come già detto,  pullulava  di laureati, un  mix di avvocati, medici, ingegneri.  La   quale  non rinunciava, mediante massicce iniezioni di ripetizioni, a voler tingere di bianco lui,la pecora nera della famiglia che assolutamente do-ve-va la-u-re-ar-si.
E così gli anni del liceo furono sette.
Due volte ripeté la 2a liceo con espulsione da tutte le Scuole della Repubblica.
Però, grazie ad una legge, poté ripresentarsi come privatista superando il grande ostacolo e poté accedere al 3° anno di liceo.
All’esame di stato fu ancora una volta rimandato ad ottobre.
Ma infine a 22 anni terminò il liceo.
Si iscrisse all’università. E qui, in perfetta coerenza con le sue capacità intellettive di perfetto cretino, non fece alcuna fatica a andare fuori corso per tre anni.

 
Sorvoliamo i dettagli del secondo incontro che Luigino Furbino ebbe con il signor CHI –E’-MIGLIORE-DI-ME scagli la prima pietra (l’alibi di siffatta sfrontatezza è che LUI fa il suddetto invito in contesti sontuosi con arazzi, specchi, mobili antichi, dove è altamente improbabile trovare delle pietre).

E soffermiamoci sul come LUI lo avesse scelto ministro.
LUI,  che  ha  un grande  fiuto  per capire  e selezionare  i suoi collaboratori,  subito constatò  che  Luigino Furbino, durante le ultime tre legislature, aveva dimostrato in toto di avere un’ intelligenza creativa da yes man e poteva assurgere alla carica di Ministro.

In riferimento al profilo ideale, a tutto ciò che IO dico il ministro:
  •   non pone mai obiezione
  •  non chiede chiarimenti o approfondimenti
  •  non propone mai dei cambiamenti o delle aggiunte
 
l’onorevole Luigino Furbino rappresentava l’esempio vivente.
 
Infatti viene nominato Ministro della Amplificazione della Semplicità coerentemente con una carriera splendida, all’insegna della imbecillità che è il suo vero plus, il suo sostanziale punto di forza.
 
Nomina preceduta da 24 ore veramente tumultuose.
La mattina precedente si era vociferato che gli sarebbe stata assegnato il Ministero dell’Agricoltura.
L’indiscrezione da una parte lo aveva reso felice.
Dall’altra gli aveva trasmesso un po’ di ansia, data la sua totale ignoranza sull’argomento.
Non che brillasse in altri settori.

Ma l’agricoltura era ciò di quanto più si potesse immaginare lontano da lui.
Era nato a Milano.  Non distingueva  un albero di  mele da uno di pere.  Né quello  di  ciliegie  da quello di albicocche. Le nespole  sono qualcosa di misterioso. Non ha mai saputo  quanto accidenti fosse grande un ettaro di terra.  Solo  da poco  aveva trovato  risposta  al quesito  che si  era sempre posto.... come  mai i cocomeri con il loro peso possano rimanere appesi ai rami degli alberi.

Poi cominciò ad immaginarsi dei collaboratori che gli portavano in visione progetti del settore agricolo, per i quali non capendoci un accidenti avrebbe utilizzato la tecnica del rinvio.  Non è quella utilizzata da tutti i ministri incompetenti, cioè quasi tutti? L’avrebbe utilizzata anche lui.
 
Nel pomeriggio tardi di ieri, circa le 18, si dava quasi per certo che il Ministero dell’Agricoltura non sarebbe stato più assegnato a lui.
L’aveva scampata bella. Ma non sarebbe diventato ministro?
Per un paio di ore circa si era rassegnato.  Semplice onorevole  per la quarta legislatura.  Ma comunque si mormorava che per lui c’era ancora qualche chance.
E in tarda serata, intorno alle 21,  gli fu  dato per certo il Ministero dell’Industria.       
Pensò che in questo settore sicuramente ci capiva qualcosa di più. Sin da piccolo nelle gite domenicali sui laghi lombardi, aveva preso una certa dimestichezza con i capannoni industriali.
Mentre  l’auto  di  famiglia  sfrecciava  sull’autostrada  Milano – Como, oppure  sulla Milano – Brescia,  lui guardava da lontano, ma con attenzione i capannoni.
E, se  pur in giovanissima età, e con l’aiuto dei genitori,  era arrivato  alla prima  facile classificazione  dei capannoni. Piccoli e grandi.
Alla quale qualche anno dopo fece seguire la sottoclassificazione: quelli con il fumo e quelli senza. Insomma i capannoni industriali gli erano familiari.
Quindi, stando alle ultime informazioni, LUI gli avrebbe assegnato il ministero dell’Industria. Un vero colpo di fortuna. Con questa certezza andò a dormire tranquillo, se pur con una fastidiosa constatazione.
Da ragazzo, a uomo maturo affermato nella politica, le sue nozioni sull’industria  non erano migliorate più di tanto. Fondamentalmente erano quelle  accertate, sin da quando era piccolo, i capannoni con il fumo e quelli senza.

 
L’indomani il puzzle dei ministri si considerava concluso.

Alle 11:00 i quadrupedi neo ministri erano stati tutti convocati da LUI. Che avrebbe comunicato loro l’assegnazione del relativo ministero, un po’ prima della cerimonia ufficiale con il Presidente della Repubblica, nella quale:
  • 12:06 ministro dell’Industria Carlo Begna
  • 12:07 ministro delle Pari Inopportunità Eva di Meglio
  • 12:08 ministro della Amplificazione della Semplicità Luigino Furbino
 
Un minuto da infarto, ma ce l’aveva fatta. Quanto stress nelle ultime 24 ore. Resse bene anche l’ultimo colpo: la sorpresa di un nuovo ministero di cui non sapeva assolutamente nulla. Nulla di nulla. Né di quello che avrebbe dovuto fare, né di quello che avrebbe dovuto saper fare.
 
Semplificazione di cosa, pensava Luigino.
Un ritornello che gli rimbombava in testa, mentre riceveva strette di mano, congratulazioni e tutte le altre frasi di circostanza.
LUI aveva pensato a lui per un nuovo ministero che non c’era mai stato prima.
Le novità vengono affidate sempre ai migliori” pensò.
Ed in questa nomina ad un nuovo ministero vide un salto del suo Q.I. Del quale nessuno si era reso conto. Neanche lui. Ma l’importante era che se ne fosse accorto LUI.
Infatti come Onorevole, matematicamente parlando, aveva il ruolo di unità numerica.
Che insieme ad altre unità contribuiva a far passare una legge pensata da LUI e per LUI.
Un ruolo importante, ma noioso che, come dice LUI, si potrebbe eliminare se non ci fosse l’Opposizione e la Costituzione.

Come ministro il suo nuovo ruolo era ben  più importante:  quello del bravo soldato che esegue  tutto  ed esattamente ciò che il GENERALE ordina.
Non c’è che dire un bel passo in avanti.

Si, mi piace proprio fare il Ministro. LUI mi dirà cosa devo semplificare ed io semplifico Che bello!!! E poi con tutti i vantaggi che ne derivano.
A cominciare da domattina dopo la odierna stressante cerimonia di giuramento  dei ministri  di  fronte al Capo dello Stato, potrei iniziare ad usufruire dei miei privilegi.
Accompagnato dallo chauffeur che mi ha telefonato poco fa. Mi faccio portare in giro come un turista per un paio di ore. In fondo me lo merito dopo 15 anni di faticoso pendolarismo di duecento metri a piedi da casa a Monte Citorio e viceversa .
E così il giorno dopo il neo ministro iniziò la sua attività da turista, interrotta solo da una telefonata della segretaria di LUI. Che avrebbe voluto vederlo il venerdì della settimana successiva alle ore 15:00 esatte. Mi raccomando la puntualità concluse la potente segretaria.
 
Il ministro Luigino Furbino rimase perplesso. Cosa avrebbe fatto lui per nove giorni senza alcun ordine di LUI.
Preso  dalla  disperazione,  per  il vuoto  che  gli   si   presentava   di fronte,   si  fece   un programma  di riempimento,  anche se di tutto riposo:
  • Visitare il suo nuovo ufficio ed incontrare i nuovi collaboratori che avrebbe avuto a sua disposizione.
  • Venire a conoscenza di tutti i vantaggi dei ministri.
  • Scambiarsi delle impressioni con alcuni colleghi ministri
 
Circa le dimensioni del nuovo ufficio, queste erano circa 200 metri quadri, cioè almeno 6 volte quello che aveva da onorevole.
 
Oltre all’aumento dello spazio di lavoro, rilevò l’abbondanza degli stucchi e degli ori, gli arredamenti antichi, la maestosità del palazzo. Tutto gli confermava il nuovo status di Ministro.
A riguardo delle persone a Sua disposizione, queste erano 10 contro l’unico assistente in nero che aveva da onorevole.

Circa i privilegi rimanevano validi tutti quelli di cui già usufruiva da onorevole:
  • pranzi di qualità a prezzi minori rispetto a quelli di una mensa aziendale
  • biglietti gratuiti di treni ed aerei
  • orologi di grandi firme (bastava dichiarare di aver perduto il proprio)
  • budget di spesa per omaggi di fine anno.
  • diarie varie
 
A queste si aggiungeva un elemento di status da ministro veramente distintivo: la disponibilità di un aereo privato. Il cui utilizzo in teoria, per ogni singolo viaggio, necessitava di una motivazione del Ministro (cioè di lui medesimo) che nessuno mai avrebbe sindacato. Ed in pratica tutto si riduceva al riempimento di un modulo.
Luigino Furbino era molto soddisfatto.  Di tutto  ciò voleva  ringraziare  il suo benefattore  e  baciarGLI le mani. Ma la segretaria – mastino di LUI  filtrava  ogni telefonata e con tono accattivante lo tranquillizzava riferirò al Presidente della Sua telefonata, signor Ministro.
Attese che LUI almeno lo chiamasse per telefono. Ma l’attesa si protraeva. Ed il pensiero di  quanto tempo LUI dedicasse agli altri ministri lo avviliva. Ed i sintomi dell’amante  emarginata si  facevano  sempre  più forti e frequenti.
Dopo cinque giorni si era rassegnato. Attenderà fino a venerdì ore 15:00.
Nel frattempo aveva telefonato a due ministri colleghi. Dalle rispettive segretarie era venuto a conoscenza che il primo si era recato in visita ad un provveditorato degli Studi di una regione del Nord.
Il secondo si era recato ad esaminare de visu lo stato di arretratezza di alcuni tratti ferroviari della Puglia.
Il recarsi da qualche parte dei due suoi colleghi gli aveva fatto focalizzare la diversità del suo ministero. Certamente glorioso, ma anche certamente misterioso. Loro potevano organizzare delle visite presso una struttura esistente. Potevano creare un vero finto lavoro.
Ma lui cosa poteva organizzare sulla Amplificazione della Semplicità? Argomento sul quale nessuno sapeva dirgli qualcosa.  Né tanto meno nessuno dei  suoi 10 collaboratori raccolti, e Dio solo sa con quale criterio, da altri ministeri.
 
Ma il problema era più grande di lui. E solo LUI poteva illuminarlo.
Non restava che attendere il venerdì ore 15.00.
Era soltanto lunedì e  in  attesa  del  grande incontro, il ministro  pensò di  verificare  la  procedura  aereo privato. Chiamò uno dei dieci a Sua disposizione, che si distingueva per aver lavorato in passato a stretto contatto con un altro ministro.
 
Gli chiese, con la faccia ed il tono di voce di chi inizia a parlare di una cosa importante, Lei conosce la procedura aereo privato?
Ma forse l’argomento era meno importante di quanto lui pensasse.
Infatti il neo collaboratore illuminò Luigino Furbino di un tranquillizzante e loquace sorriso. Si capisce che voi siete ministro per la prima volta.
E con voce rassicurante... Solo un modulo Signor Ministro e in un’ora l’aereo è pronto per Voi. Lei mi dica la destinazione e l’ora di partenza. Al modulo da riempire ci penso io.
Tutto qui? domandò il Ministro.
Noi, signor Ministro, siamo per le cose semplici.

 
Il ministro rilevò dubbiosamente una punta di ironia. Sulla quale preferì soprassedere e con tono sbrigati-vo..  Bene,  bene. Le farò sapere.

Stette due giorni presso una zia residente in Liguria che non vedeva da tanto tempo.
E giovedì sera sfrecciò di ritorno sul cielo carico di storia della ex caput mundi. Per essere pronto, domani, da LUI.
 
Ore 15:00
Carissimo Luigino scusami se ti ho fatto attendere qualche giorno, ma …. tutti mi vogliono, tutti mi cercano - purtroppo anche i giudici - e solo grazie al mio dono della ubiquità riesco ad essere in più posti contemporaneamente e fare tutto quello stabilito nel mio programma settimanale.
Grande Sultano, voi che potete tutto. Ad esempio potreste darmi delle dritte su cosa devo fare io, a capo di questo nuovo ministero della Amplificazione della Semplicità?

Niente caro Luigino, assolutamente nulla. Ora ti spiego. Secondo te nella P.A. c’è qualcosa di semplice?
Credo proprio di no.

Poiché non si può amplificare una cosa che non c'è, ovviamente non c’è nulla da amplificare. Quindi non c’è nulla da fare.
Mi inginocchio davanti a tanta intelligenza.

Tranne che prepararti su  possibili 5/6  interviste in cui ti  chiedono  come  vanno i  lavori al ministero della Amplificazione della Semplicità.
Nelle prime tre, dirai che stai analizzando il grosso problema della burocrazia in Italia con le migliori teste che ci sono all’interno della P.A.
Qualora fosse necessario prenderemo qualche esperto esterno alla P.A. Fra tre quattro mesi inventeremo altre due, tre dichiarazioni per i giornalisti.
Tutto qui Grande Sultano?

Si, ma stai attento. Devi essere convincente. Quindi devi affidarti ad un tutor per la recitazione, che ti indicherà il mastino della mia segretaria.
Ma qualcosa semplificheremo Grande Sultano ?

Caro Luigino noi abbiamo circa 150.000 leggi.
Se tu elimini quelle più vecchie di cui non vi è traccia di applicazione negli ultimi 50 anni, e che nulla incidono sulla realtà attuale, noi potremo dire che abbiamo eliminato 100.000 leggi e ne rimangono 50.000.
Lo diciamo alla stampa ed alla televisione e facciamo un bel figurone. E nessun giornalista si metterà a fare confronti con la Francia che ha solo 6000 leggi e la Germania che ne ha 8000.
Mi scusi Grande Sultano, perché nessun giornalista farà il confronto tra il numero di leggi italiane e quelle di Germania e Francia?

Perché tengono famiglia ad alto tenore di vita.
Grande Sultano, mi sembra un piano perfetto.

Lo puoi ben dire Luigino.  Ma dì  pure geniale.  Basta  considerare  che  le  Riforme  mediatiche, sempre dichiarate e mai eseguite, sono un toccasana. Veloci e con poco sforzo.
Un  bel sorriso  e   interviste   rilasciate  periodicamente  sull’argomento.  E la gente continua a pensare che noi  siamo quelli del Fare. Si, ma i c… nostri.
Ora ci lasciamo perché ci sono altre riforme mediatiche da avviare.
Alle quali si vanno  ad  aggiungere  i  compiti  di routine: difendersi  dai giudici, attaccare quelli della Sinistra, fare una visita ad un gruppo di imprenditori a  cui bisogna  promettere qualcosa, mettere a punto qualche legge ad personam.
Insomma c’è molto da fare. E poi dicono che in Italia manca il lavoro!

Luigino Furbino salutò il Grande Sultano. E mentre discendeva le scale di Palazzo dei Miracoli pensava che LUI è proprio Grande.
 
Fare le riforme si, ma mediatiche. Il minimo sforzo con il massimo del rendimento.
 
Ed ecco che all’ingresso intravede una selva di microfoni e telecamere che gli vanno incontro come ad una rock star.
Accidenti non ha ancora fatto il corso di dizione, né quello di recitazione, suggeriti da LUI.
Però ricordava dagli insegnamenti di LUI che occorre sorridere sempre ed in ogni caso.
Come quando il PIL dei Francesi e dei Tedeschi era risalito di 4 /5 punti ed il nostro di uno stitico 0,5.
Quindi fece delle strane smorfie per attivare i muscoli facciali e prepararsi a sorridere.
Circa la dichiarazione che avrebbe dovuto fare, pensò ad un fulmineo No comment.
Anche se poco argomentativo.

Ormai era a quattro- cinque passi dalle cavallette.
Un colpo di quella genialità che ha cominciato a baciarlo dal momento della nomina a Ministro della Repubblica. E senza ascoltare le specifiche domande rispose Semplificheremo, semplificheremo.
Fece ancora pochi passi e prima di tuffarsi nella protettiva ed accogliente Audi, disse ancora sorridendo Semplificheremo.
 
In macchina, come un centometrista al termine di una gara, nello stesso istante unisce un respiro profondo ed un pensiero profondo: è fatta. Corroborato, con tempistica eccezionale, da una goccia di saggezza di ultradecennale esperienza del suo chauffeur: ci si abituerà signor Ministro.
 
La settimana successiva, la sua segreteria personale gli chiese se voleva ricevere due imprenditori che avevano chiesto di incontrarlo.
Dette immediatamente il suo assenso nella piena convinzione di dover pur riempire il suo tempo in qualche maniera.
I due incontri furono molto illuminanti su alcuni aspetti del ruolo di ministro.
Il primo, un industriale gli prospettava l’acquisto di un prodotto soft  che avrebbe  permesso una semplificazione nei vari uffici della P.A.
Per riflesso condizionato, alla parola semplificazione il ministro disse che il prodotto poteva essere di aiuto alla P.A. e che lo avrebbe messo in contatto con alcuni tecnici.
Ma allorquando l’imprenditore sottolineò che sarebbe stato molto, ma molto riconoscente Luigino Furbino si dimostrò molto, ma molto interessato.
“Io stesso seguirò personalmente la faccenda".
Il secondo industriale gli presentò la richiesta di cambiamento di alcuni parametri in una legge relativa alla costruzione di alcune macchine che venivano utilizzate solo nella P.A.
Luigino afferrò subito il quid della visita del secondo interlocutore.
Ma pretese un secondo incontro. Al termine di esso il primo scambio di favori da ministro era avviato.
 
Insomma alla fine del primo mese, per così dire di lavoro, gli era tutto chiaro su quale sarebbe stata la vita da ministro per i prossimi cinque anni.
  
  •       30 % di attività mediatica.
  •       30 % di spostamenti in aereo o auto fatti in prevalenza per lo sviluppo di affari propri.
  •       10% di presenza in aula parlamentare.
  •       30% di preparazione per le attività precedenti
   
In sintesi una PACCHIA con l’aggiunta di Sig. Ministro di qua, Sig Ministro di là. Ed altre reverenze che coprivano ulteriormente la segreta consapevolezza di avere un curriculum scolastico grondante di imbecillità distillata ed una carriera politica fatta di arruffianamenti e sviolinamenti, a parte la sua fama di generator nazionale di voti.
  
Ma ora, nella funzione di Ministro della Repubblica, era diventato intelligentissimo. Ed anche bellissimo e simpaticissimo.
Certamente infallibile, immune da critiche. E soprattutto immune dal Potere Giudiziario.
Ma, nel silenzio del suo bath room, in the night, sapeva...
Sapeva, sapeva di essere una cacca di cane ricoperta dalla carta dorata dei cioccolatini Rocher.
E solo quando incontrava LUI,  per un immancabile stramaledetto  colpo di vento,  la carta dorata volava via.

E  lui, Luigino  Furbino   potente  ministro   della  Repubblica  Italiana,  rimaneva  nella  sua  nauseabonda pochezza in totale balia della volontà e del capriccio di LUI.  


Nota - Ogni riferimento a persone esistenti, o a fatti realmente accaduti, è puramente casuale.
 
 



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